Leggere è un'attività utilissima e bellissima, che arricchisce chi la svolge, ma che purtroppo di questi tempi è un po' fuori moda. Per quanto ci riguarda, abbiamo pubblicato - o stiamo per farlo - libri per bambini, ragazzi ed adulti, per non lasciare fuori nessuno e coinvolgere tutti nel nostro progetto. Con ogni titolo, sosterremo un'associazione che lavora per rendere il pianeta Terra un posto migliore. Tu cosa vorresti leggere?
Scegli la storia che fa più al caso tuo!
"Delle api non si butta niente; persino il temuto veleno viene estratto a scopi farmaceutici con dei pannelli elettrizzati che attivano la loro reazione difensiva al dolore. Una fabbrica degli orrori in miniatura, nascosta dalla falsa narrativa che per salvare le api occorra adottare un'arnia. L'altro mito da sfatare subito riguarda la tutela della biodiversità. L'apicoltore è interessato solo ad un tipo di ape: la mellifera. E tra queste seleziona le razze più servili ai suoi fini e poi sostituisce le regine, uccidendo quelle aggressive e sostituendole con quelle più docili."
"I legumi sono un pilastro fondamentale della dieta mediterranea fino ad oggi trascurato, con la nostra lavorazione a bassa temperatura, dopo averli ammollati e cotti a vapore, cerchiamo di riportarli sulla tavola di tutti ogni giorno in forme nuove ma naturali al 100% come preparati pronti, snack, zuppe, pasta, mix polpette, biscotti e amaretti.
Tutti i nostri legumi sono controllati con un’analisi multi-residuale che verifica l'assenza di residui in pesticidi, metalli pesanti e fitofarmaci. Per noi la sostenibilità è al cuore del progetto e diamo molta attenzione anche al packaging privilegiando la carta e gli inchiostri ad acqua."
"Le ultime statistiche dell’Ispra vedono contaminate da pesticidi il 25% delle nostre acque. Particolarmente subdolo, dalla nostra esperienza, il ricorso a mix di diverse molecole che si fa spesso per rimanere dentro i limiti di legge sui pesticidi, ma che porta a mangiare un prodotto con un cocktail di sostanze i cui effetti potrebbero essere molto dannosi. Anche nel caso dei contenitori, si deve far fronte ad allarmi fondati su cui le autorità faticano a prendere decisioni in tempi rapidi. Penso alla contaminazione da Pfas molto comune in alcuni contenitori idro e liporepellenti."
"L’impatto ambientale dell’agricoltura convenzionale a metodi intensivi ha effetti negativi a 360°. Fertilizzanti, pesticidi, monoculture su larga scala, deforestazioni e arature profonde sono solo alcune cause di questi effetti negativi. Cerchiamo, nel nostro piccolo, di dare visibilità a quella corrente green che si sta facendo sempre più strada. Vogliamo rendere accessibile a tutti l’educazione sostenibile su filiere ortofrutticole circolari, chimica verde, bioraffineria, agricoltura di precisione, aeroponica e tanto altro."
"Vogliamo essere facilitatori e al contempo garanti del cambiamento: non solo cotone, ma cotone organico naturale e riciclato. Possiamo infatti certificare che ad ogni chilogrammo di filato R&BIO venduto, sempre corrisponde l’acquisto di fibre riciclate e/o organiche in egual misura. Siamo un'azienda di filatori da oltre 30 anni e da sempre produciamo filati di cotone. "
Per proteggere il pianeta ed i suoi abitanti, bisogna innanzitutto conoscerli e farli conoscere. E' questa la missione di Chiara Battistelli, che ha deciso di scrivere una serie di libri, illustrati e dedicati ai più piccoli, il cui primo volume racconta la vita delle api, descrivendone nel dettaglio sia la struttura sociale che le attività. I libri sono disponibili anche in versione inglese.
Nonostante l'enorme impatto ambientale causato dalla produzione e dallo smaltimento di fibre destinate al settore tessile, si parla poco del ruolo giocato dall'industria della moda nei cambiamenti climatici e di alternative più sostenibili ai negozi tradizionali. AlgoNatural è un'azienda che ha voluto specializzarsi nella realizzazione di abiti in fibre naturali e biologiche.
Una serie di trailer e titoli di documentari e reportage televisivi che parlano in maniera dettagliata dell'uso di pesticidi in agricoltura, nonché dei loro effetti sul suolo, sugli impollinatori e su dieta e salute umana.
Parla Giuseppe Schermi, fondatore
Pubblicata il 20 febbraio 2023
Di cosa si occupa?
Sono nato e cresciuto fra le arance ed i limoni; la mia è una azienda di famiglia da molte generazioni. Le api sono entrate la prima volta con lo scopo di migliorare la produttività delle piante e quindi il profitto. Un apicoltore veniva ogni tanto vestito come un astronauta e metteva le mani in quelle scatole colorate da cui uscivano le api e per questa buffa performance ricevevo circa 15 kg di fresco miele locale. Credevo di far "la cosa giusta".
Cosa la spinge a credere nel suo progetto?
Un giorno ebbi in regalo un libro che mi aprì gli occhi: A world without bees. Capii che quello che per me era un personaggio buffo, in realtà era un specie di serial killer delle api e le sfruttava fino allo sfinimento per estrarre quanto più miele possibile. Così cominciai a studiare questo mondo, sia con la pratica, affiancandomi agli apicoltori per imparare ad allevarle, sia facendo corsi di formazione e, soprattutto, leggendo tanto. Non dimenticherò mai il ghigno sadico di un professore di apicoltura quando disse: “Loro fanno il miele, e noi glielo rubiamo", né la meccanica freddezza con cui un altro mi mostrava come stroncare sul nascere le sciamature, schiacciando le celle di ape regina e succhiandone la pappa reale.
Lentamente capivo che non stavo facendo la cosa giusta. Oggi condivido il mio giardino con qualche centinaio di migliaia di api libere. La mia casa è anche un B&B, così quando gli ospiti vedono le arnie, mi domandano istintivamente: “Quindi fai il miele!?!”. Ed io: “No, faccio api.”
Quali sono le attività umane di maggior disturbo per le api? Quali conseguenze hanno sul loro benessere e sulla tutela della biodiversità?
L'attività umana più distruttiva per le api, e per tutti gli insetti impollinatori, non è l'uso di pesticidi come si potrebbe pensare, ma quella portata avanti dagli apicoltori. Il motivo è nella finalità dell'allevamento, ovvero il reddito che possono ottenerne e non il benessere delle api. Un allevatore di api vuole massimizzare la produzione di miele, polline, propoli o pappa reale. Delle api non si butta niente; persino il temuto veleno viene estratto a scopi farmaceutici con dei pannelli elettrizzati che attivano la loro reazione difensiva al dolore. Una fabbrica degli orrori in miniatura, nascosta dalla falsa narrativa che per salvare le api occorra adottare un'arnia.
L'altro mito da sfatare subito riguarda la tutela della biodiversità. L'apicoltore è interessato solo ad un tipo di ape: la mellifera. E tra queste seleziona le razze più servili ai suoi fini e poi sostituisce le regine, uccidendo quelle "aggressive" e sostituendole con quelle più "docili". Insomma, l'apicoltore sottrae spazi di biodiversità e seleziona le razze secondo requisiti economici che rendono più fragili le api nel tempo, come accade negli allevamenti di bovini (che tolgono spazio alla biodiversità dei boschi), o quelli di polli (che, opportunamente selezionati per diventare in fretta petto di pollo, oggi sarebbero incapaci di camminare sulle proprie zampe se solo fosse loro permesso di raggiungere l’età adulta).
Crede che in Italia si sia sviluppata una maggiore consapevolezza al riguardo? Cosa si sentirebbe di consigliare in tal senso?
Viviamo una distorsione cognitiva di massa, realizzata con impressionante rapidità dalle leve del marketing e la pervasività della pubblicità su smartphone. Additare un nemico lontano ed inarrivabile come le mega multinazionali dei fertilizzanti piuttosto che rivolgerlo verso i propri comportamenti quotidiani ci solleva e deresponsabilizza. Ma fa molto più danno alla biodiversità quel prato inglese con piscina che tanto vorremmo nel nostro giardino che l'uso dei pesticidi che, almeno in Italia, si è molto ridotto (e non per questioni etiche, ma di risparmio). Se ami le api, coltiva piante ed alberi nettariferi; le api e tutti gli altri insetti impollinatori verranno da soli, liberamente.
Primo Passo è un B&B vegan ed un rifugio per le api nere sicule e per altri animali in difficoltà. Si tratta di una delle pochissime realtà in cui le api non sono utilizzate per la produzione del miele, ma semplicemente lasciate libere. curate e protette. Per conoscere meglio la loro attività, basta visitare il loro profilo Instagram
Parla Monica Neri, Titolare e fondatrice
Pubblicata il 29 dicembre 2021
Di cosa si occupa Legù?
Legù vuole riportare in tavola i legumi in modo naturale con forme nuove e pratiche.
Cosa la spinge a credere in questo progetto?
I legumi sono un pilastro fondamentale della dieta mediterranea fino ad oggi trascurato, con la nostra lavorazione a bassa temperatura, dopo averli ammollati e cotti a vapore, cerchiamo di riportarli sulla tavola di tutti ogni giorno in forme nuove ma naturali al 100% come preparati pronti, snack, zuppe, pasta, mix polpette, biscotti e amaretti.
Tutti i nostri legumi sono controllati con un’analisi multi-residuale che verifica l'assenza di residui in pesticidi, metalli pesanti e fitofarmaci. Per noi la sostenibilità è al cuore del progetto e diamo molta attenzione anche al packaging, privilegiando la carta e gli inchiostri ad acqua.
Crede che in Italia si sia sviluppata una maggiore consapevolezza nei confronti di animali ed ambiente? Cosa si sentirebbe di consigliare in tal senso?
Credo che oggi si porga maggior rispetto a ciò che siamo e ciò che mangiamo, e che negli ultimi anni abbiamo esagerato nel consumo di carne e di prodotti derivati di origine animale. Oggi dobbiamo riportare in tavola la vera dieta mediterranea, dando maggior rilievo a verdura, frutta e legumi.
Legù è un'azienda italiana che crea alimenti sostenibili a base di legumi. La cura del dettaglio non si percepisce solo dalla qualità dei prodotti alimentari, ma anche dai materiali utilizzati per confezionarli.
Parla Riccardo Quintili, Direttore responsabile
Pubblicata il 22 dicembre 2021
Com'è nata l’idea per Il Salvagente?
Il Salvagente è nato negli anni '80 da un’idea di Tito Cortese, autore e conduttore della prima trasmissione a difesa dei consumatori della Rai: Di Tasca nostra. All’inizio il giornale fece la sua comparsa, come inserto settimanale de L’Unità, come enciclopedia dei diritti dei cittadini, per poi trasformarsi in settimanale dei diritti, dei consumi e delle scelte, autonomo e, dal 2015, in mensile.
Cosa vi ha spinto - e vi spinge tutt'ora - a credere nel vostro progetto?
Crediamo che in Italia ci sia un grande spazio per un giornale che fa test di laboratorio, inchieste giornalistiche sui prodotti che consumiamo tutti i giorni e sui servizi. Da una parte, infatti, i nostri test svelano quello che su un prodotto (in particolare alimentare) non si può vedere ma i cui effetti dannosi spesso si sentono solo con il passare del tempo; dall’altra, sono in grado di fotografare l’effettiva qualità di quello che mettiamo nel carrello, al di là di quanto promette la pubblicità. Sul fronte dei servizi, poi, continuiamo a ritenere che sia valida la logica che prevede la conoscenza come unica arma per affrancarsi da quanto ci è dovuto “non per piacere ma per diritto”.
Qual è la situazione in Italia per quanto riguarda l’uso di pesticidi in agricoltura? Quale, invece, quella riguardante la presenza di sostanze tossiche in contenitori alimentari e simili?
Una situazione allarmante, come testimoniano anche le ultime statistiche dell’Ispra che vedono contaminate da pesticidi il 25% delle nostre acque. Particolarmente subdolo, dalla nostra esperienza, il ricorso a mix di diverse molecole che si fa spesso per rimanere dentro i limiti di legge sui pesticidi, ma che porta a mangiare un prodotto con un cocktail di sostanze i cui effetti potrebbero essere molto dannosi, come testimoniano le ultime ricerche scientifiche.
Anche nel caso dei contenitori, si deve far fronte ad allarmi fondati su cui le autorità faticano a prendere decisioni in tempi rapidi. Penso alla contaminazione da Pfas molto comune in alcuni contenitori idro e liporepellenti (come quelli dei cibi di fast food, tanto per fare un solo esempio). Queste molecole – chiamate non a caso “veleni per sempre” per la capacità di accumularsi – sono certi interferenti endocrini. Oppure la presenza di Mosh e Moah, due contaminanti potenzialmente cancerogeni sempre più spesso trovati in grado di migrare dal contenitore al contenuto.
Cosa si potrebbe fare, secondo lei, per migliorare i settori del mercato maggiormente “colpevoli” e renderli più sostenibili?
Dal punto di vista dell’agricoltura, l’unica possibilità è una transizione verso il bio, in grado di proteggere la salute di chi lavora, l’ambiente in cui lavora e il consumatore dei suoi prodotti.
Sul fronte del packaging, invece, rinunciare alla plastica e bandire le sostanze più pericolose, già prima che arrivi uno stop delle autorità, sarebbe una prima mossa consapevole.
Grazie alla sua rivista, al suo sito ed al canale, Il Salvagente mette in guardia i cittadini, informandoli ed invitandoli a scegliere i prodotti per la propria spesa con maggiore cura. Cura per se stessi e per l'ambiente che li circonda.
Parla Luca Boscariol, Co-founder
Pubblicata il 21 novembre 2021
Di cosa si occupa Agridots?
Il concetto alla base di Agridots è piuttosto semplice: creare itinerari agrituristici dal virtuale al campo. Nella pratica significa creare esperienze agrituristiche per l’utente finale che iniziano online e si concludono in loco, a contatto con la terra e con la natura. La parte online comprenderà corsi, webinar, tour virtuali e tutte quelle iniziative educative e di intrattenimento che possono essere registrate direttamente presso le aziende agricole. La parte in loco rappresenta la naturale conclusione del percorso iniziato online, accompagnando l’utente ad approfondire i suoi ambiti preferiti sul campo. L’esperienza che si delinea sarà completa, profonda e verticale su ambiti specifici come la trasformazione di un prodotto dalla raccolta alla tavola oppure il ciclo di vita degli scarti di produzione nei vari step dell’economia circolare. Sostenibilità, ecologia ed etica saranno i nostri valori cardine che circonderanno ciascun itinerario.
Cosa vi spinge a credere nel vostro progetto?
La finalità è duplice. Da un lato permettere ad aziende agricole spesso isolate, poco raggiungibili e poco digitalizzate di ricevere maggiore visibilità, trasmettere le proprie conoscenze ad un
pubblico potenzialmente ampio e poter collaborare con altre imprese del settore nella creazione di questi itinerari. La nostra visione a lungo termine vede convergere questo modello in una vera e propria community dove imprese con caratteristiche e processi diversi collaborano tra loro nella creazione di innovazione. Immaginiamo una piattaforma con tanti piccoli network dove imprese private, università, centri di ricerca e consumatori possano andare oltre alla collaborazione per gli itinerari, inserendo disparati ambiti di studio e sperimentazione nei loro processi produttivi. Cerchiamo quindi di dare, nel nostro piccolo, un contributo alla valorizzazione dei territori rurali italiani.
Dall'altro lato, vogliamo portare online l’itinerario agrituristico in modo da rendere accessibile a tutti questo tipo di esperienza, spesso troppo costosa, difficile da organizzare o limitata. Basti pensare a quanto il Covid abbia impattato negativamente sul versante agrituristico ed esperienziale e quanti limiti pone tuttora all’organizzazione di attività di gruppo all’aria aperta. L’itinerario agrituristico è un’esperienza unica, che dona emozioni e ricordi indelebili. Allo stesso tempo non è per tutti. Vogliamo cercare di superare questi limiti e portare l’itinerario nelle case
degli italiani, per poi accompagnarli a toccare la terra con mano. Crediamo che l’esperienza ibrida online-offline sarà il nuovo paradigma sociale del futuro. Non si tratta di sopprimere, ma di prendere il meglio dei due mondi e unirlo in percorsi fluidi, profondi e senza frizioni.
Quali sono i dati riguardanti l’impatto ambientale dell’agricoltura
“tradizionale” che vi hanno spinto a proporre o rivalutare percorsi e soluzioni
alternative?
L’impatto ambientale dell’agricoltura convenzionale a metodi intensivi ha effetti negativi a 360°. Si parla di inquinamento atmosferico, idrico ma anche di perdita di biodiversità, impoverimento dei suoli fino a fenomeni di desertificazione. Fertilizzanti, pesticidi, monoculture su larga scala, deforestazioni e arature profonde sono solo alcune cause di questi effetti negativi. Cerchiamo, nel nostro piccolo, di dare visibilità a quella corrente green che si sta facendo sempre più strada. Vogliamo rendere accessibile a tutti l’educazione sostenibile su filiere ortofrutticole circolari, chimica verde, bioraffineria, agricoltura di precisione, aeroponica e tanto altro. Tutto questo senza trascurare il pregio delle arti tradizionali, dell’artigianato e delle specializzazioni uniche, tramandate di generazione in generazione. Perle dal valore indescrivibile che rischiano di
scomparire per sempre. Il comparto agricolo italiano è più performante di quello che si possa pensare. I tassi di crescita annui sono sostenuti e il panorama dell’offerta sta cambiando,
coinvolgendo sempre più attività multifunzionali. I concetti di “esperienza” e “sviluppo” sono sempre più legati a questo ambito, che sta lentamente portando avanti una vera rivoluzione.
Restringendo al settore agrituristico, la pandemia ha creato profondi disagi alle strutture. Alcune però hanno trovato nuovi metodi per sopravvivere, primo tra questi le vendite online. La maggiore digitalizzazione è una tendenza ormai sempre più diffusa in questo comparto, seguito dalla ricerca costante di nuovi servizi alla persona.Il futuro del settore può presumibilmente tradursi in:
Crede che in Italia si sia sviluppata una maggiore consapevolezza al riguardo?
Cosa si sentirebbe di consigliare in tal senso?
Dal lato delle imprese agricole c’è consapevolezza riguardo alla necessità di collaborazioni, all’apertura verso ricerca e sviluppo e al bisogno di maggiore visibilità. Tuttavia, stiamo parlando di realtà spesso sostenute e gestite da un numero ristretto di persone, che non hanno il tempo materiale per dedicarsi ad attività secondarie. Abbiamo percepito questa frustrazione in decine di imprese intervistate. Da qui l’idea di lanciare un servizio che possa aiutare queste strutture a sviluppare reti, collaborazioni e contenuti educativi con uno sforzo minimo in termini economici
e temporali. Dal lato utente c’è sempre più sensibilizzazione sulle tematiche green. Uno studio da
noi condotto su un campione di oltre 200 donne interessate al mondo della sostenibilità ha portato diversi spunti di riflessione. Oltre l’80% investe del tempo per formarsi in ambito di sviluppo agricolo sostenibile o ha forte intenzione di iniziare. C’è tuttavia una certa scarsità di canali utilizzati per aggiornarsi, i quali comprendono in stragrande maggioranza social media come Facebook o Youtube, seguiti da giornali e riviste e infine forum di settore. Di rilievo poi, nella scelta di esperienze agrituristiche, è la necessità di contatto con la natura che comprende circa la metà del campione, seguito dalla volontà di approfondire tematiche agroalimentari sostenibili. Dati che evidenziano un’apertura del consumatore finale nel trattare queste tematiche non soltanto a casa propria ma anche con opportune attività in loco.
Un consiglio che posso dare è in realtà diretta interpretazioni di dati lampanti che tutti
abbiamo sotto gli occhi da ormai diversi anni. Prendo come esempio alcune evidenze della quinta giornata nazionale di prevenzione allo spreco alimentare del 2018. Viene stimata a 1,3 miliardi di tonnellate la quantità di cibo sprecato, sufficiente a sfamare 4 volte la popolazione mondiale. Si punta il dito verso le grandi industrie ma il 53% degli sprechi deriva da consumo domestico, l’11% da agricoltura e solo il 19% da imprese di trasformazione. Per non parlare dei
consumi idrici che raggiungono percentuali ancora meno confortanti. Dedicate qualche ora a settimana ad approfondire questi temi. Un po' di formazione in tal senso, se applicata al contesto domestico, potrebbe aprire davvero ottime opportunità di risparmio, efficienza energetica e autosufficienza nella produzione di alimenti. Pensate agli orti verticali o al semplice utilizzo di prodotti per la casa a microrganismi naturali. Basta davvero un impegno minimo e un po' di responsabilità per avere un impatto reale sulla salvaguardia dell’ambiente.
Parla Marcello Bondioli, Direttore
Pubblicata il 25 maggio 2021
Com'è nata e di cosa si occupa la CFT Masserini?
CFT nasce nel 1984 come filatura di cotone Open End. Da allora produciamo filato greggio (non tinto, puro cotone) per ogni tipo di impiego: alimentare, abbigliamento, tecnico, casa, maglieria, tessitura ecc... Siamo leader a livello Europeo per quanto riguarda volumi di produzione e dotazione tecnologica.
Cosa vi ha spinto - e vi spinge tutt'ora - a credere nel vostro progetto e nei vostri prodotti sostenibili?
Si tratta di una scelta “market driven”: abbiamo seguito le richieste espresse dal nostro mercato, che negli ultimi anni soprattutto si sta focalizzando molto sul tema della sostenibilità. Abbiamo iniziato dapprima con la produzione di filati 100% cotone riciclato e poi abbiamo introdotto una linea dedicata alla produzione di filati di cotone biologico.
Si parla sempre di biologico in relazione al settore alimentare. In che modo vengono utilizzati pesticidi ed altre sostanze chimiche in quello tessile e qual è il loro impatto sull'ambiente?
Per la coltivazione di cotone “tradizionale” viene fatto un utilizzo intensivo di fertilizzanti, diserbanti, defolianti, pesticidi. Per il cotone organico no. Il rovescio della medaglia è che, proprio per queste ragioni, i raccolti di cotone organico sono molto “aleatori” sia per quanto riguarda i volumi che per quanto concerne l’aspetto qualitativo.
Per questo il cotone biologico ha un premio elevatissimo rispetto al cotone tradizionale (in questo momento quasi +100%) e necessita di particolare attenzione nell’utilizzo per la produzione di filato.
Come sta reagendo il mercato italiano al cotone biologico? Personalmente, quali consigli si sentirebbe di dare in merito?
Partita del settore dell’abbigliamento (alta moda), questa richiesta di migrazione verso il cotone organico è diventata trasversale a tutti i settori (arredamento, casa, ecc.) e ci rende molto felici.
Il futuro va in questa direzione.
Parla Marisol Cifuentes, fondatrice e titolare
Pubblicata il 19 marzo 2021
Da dove nasce l'idea per AlgoNatural? Di cosa si tratta?
Mi chiamo Marisol Cifuentes e dal 2015 sono la titolare di AlgoNatural. Sono nata e ho vissuto per molti anni in Colombia e mi sono trasferita in Italia per amore. Qualche anno dopo è nato AlgoNatural, il primo punto vendita in Italia di abbigliamento etico e sostenibile. Un progetto che nasce dal mio desiderio fortissimo di fare qualcosa che potesse essere utile alla comunità e all'ambiente, coniugando contemporaneamente la passione per la moda e l'etica. Desideravo che questo negozio mi rispecchiasse appieno e da qui il nome, che richiama le mie origini. Infatti, in spagnolo ricorda sia "algodón (cotone) natural", che "qualcosa (algo) di naturale".
Cosa vi spinge a credere nel vostro progetto?
Ci sono diversi motivi per cui AlgoNatural è un progetto in cui credere da titolare quale sono, ma anche e soprattutto da cliente/consumatore. Primo fra tutti un fattore etico. L’abbigliamento in fibre naturali e sostenibili è e deve essere la svolta a cui aspirare. Il nostro futuro, ma prima ancora il nostro presente. Il settore dell’abbigliamento è tra i più inquinanti al mondo ed è uno dei settori in cui noi consumatori - e, in primis, persone - possiamo fare la differenza partendo dalla quotidianità. Noi cerchiamo di fare la nostra parte tutti i giorni partendo dalle piccole scelte, e tra queste c’è sicuramente la decisione di non alimentare l’industria dei vestiti “usa e getta”. Il secondo motivo sono le persone che abbiamo incontrato nel corso di questi anni. All’inizio era un progetto in cui credevamo solo noi; io e la mia famiglia per primi, ovviamente. Poi sono arrivati i clienti che in alcuni casi sono diventati addirittura amici, conoscenti, parte della nostra storia come negozio. Loro alimentano tutti i giorni la nostra voglia di migliorarci e fare la differenza. Sono il motore e ci piace ricordarglielo spesso sui nostri social.
Quali sono le conseguenze - in termini di crudeltà ed impatto ambientale - dell'uso di fibre di origine sintetica nell'industria tessile?
Sono tematiche di cui cerchiamo di parlare spesso sia sul nostro blog che sui nostri canali social. Per quanto riguarda le fibre sintetiche, negli ultimi anni c’è stata una produzione smodata di plastica, che sta incidendo negativamente su tutto il nostro ecosistema. La plastica viene prodotta in grandissima quantità dalle industrie sotto forma di imballaggi alimentari, sacchetti e fogli, ma anche dalle aziende di abbigliamento. Si tratta di un materiale economico e molto resistente, perciò ha trovato larga diffusione in diversi settori industriali. Tuttavia, il suo impatto sull’ambiente circostante, ma anche sulla salute umana, è devastante. Uno degli effetti indesiderati della plastica è il rilascio del particolato, una sostanza inquinante sospesa in aria che può causare danni molto gravi alla salute. I prodotti chimici e la plastica si disperdono, infine, nella terra e nell’acqua. Ciò significa che beviamo e mangiamo sostanze altamente inquinanti. La plastica può richiedere decine di anni per degradarsi definitivamente, ed in questo lasso di tempo provoca danni incalcolabili. Per questo noi ci occupiamo della vendita di abbigliamento in fibre naturali, perché prodotte nel pieno rispetto dell’ambiente riducendo al minimo o togliendo TOTALMENTE qualsiasi sostanza tossica e nociva nel processo di coltivazione e lavorazione della materia prima oppure derivanti dal riciclo delle materie prime (come la plastica) per ridurre al minimo l'inquinamento. In ultimo, per noi è fondamentale che anche chi si occupa della produzione, i lavoratori e gli artigiani, lavori nel pieno rispetto delle norme di sicurezza con un salario consono al ruolo. Come diciamo sempre noi, sostenibilità a 360°.
Come sta reagendo il mercato italiano a questo tipo di prodotti alternativi? Cosa si sentirebbe di consigliare ai consumatori?
La risposta a questa domanda è molto complessa: sicuramente possiamo affermare con certezza che il consumatore finale sta crescendo nella sua consapevolezza. Dove prima trovavamo un muro, ora troviamo un pubblico sempre più attento a questo genere di problematiche. E’ anche vero che se ne parla di più, un po’ ovunque. E, un tema come questo, che prima era interesse di una nicchia molto ristretta di persone, ora è un trend topic per mass media cartacei e digitali.
Anche questa pandemia sta rendendo consapevoli i consumatori sull'importanza delle scelte.
Un’altra componente è l'ampaa (ampissima) diffusione della pratica del green washing (la tecnica di presentare per bio quello che non lo è). Su questo aspetto in particolare è molto importante la capacità critica del consumatore. E’ necessario informarsi, non fidarsi ciecamente di quello che viene veicolato a scopi prettamente pubblicitari. Un capo composto da una fibra biologica è CERTIFICATO. Quello che diciamo sempre anche ai nostri clienti senza paura di vendere meno è: acquistiamo meno. Non facciamo acquisti compulsivi perchè costa poco. Quasi sempre, se costa troppo poco significa che c'è qualcuno che sta pagando quel prezzo al posto nostro.
OGM, pesticidi e cibo biologico sono solo alcune delle tematiche approfondite da questo documentario, che esplora il mondo dell'agricoltura e le sue strategie di marketing.
Miele biologico, miele tagliato con altre sostanze, miele che non è assolutamente miele. Si parla di questo, pesticidi ed impollinazione artificiale in questa puntata di Indovina Chi Viene a Cena.
L'etica aziendale di una multinazionale che lavora con OGM e suoi specifici pesticidi e le conseguenze spesso occultate sulla salute dei consumatori.
Cosa succederebbe al pianeta se non ci fossero più le api? In questo documentario si parla di rischi per la sopravvivenza della nostra specie ed impatto ambientale.
In questa interessante puntata di Indovina Chi Viene a Cena, si parla di commercio equo e solidale, che spesso è una trovata pubblicitaria che nasconde contaminazione ambientale e precarietà dei lavoratori.
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