Leggere è un'attività utilissima e bellissima, che arricchisce chi la svolge, ma che purtroppo di questi tempi è un po' fuori moda. Per quanto ci riguarda, abbiamo pubblicato - o stiamo per farlo - libri per bambini, ragazzi ed adulti, per non lasciare fuori nessuno e coinvolgere tutti nel nostro progetto. Con ogni titolo, sosterremo un'associazione che lavora per rendere il pianeta Terra un posto migliore. Tu cosa vorresti leggere?
Scegli la storia che fa più al caso tuo!
"Negli ultimi decenni, in Italia, e non solo, si sono approfonditi fenomeni come il consumo di suolo, l'abusivismo edilizio, i tagli dei finanziamenti alla cultura e all’istruzione, l’inquinamento dell’aria e dei mari, il dissesto idrogeologico. L'economia, la politica e la tecnologia dovrebbero essere posti al servizio della vita e della natura. Penso sia ineludibile la necessità di elaborare approcci coerenti con una nuova visione umanistica del mondo, fondata su relazioni coevolutive uomo/uomo e uomo/natura."
" Dal punto di vista dell’ambiente, i produttori agricoli del Sud globale sono tra coloro che subiscono in maniera più grave gli effetti del cambiamento climatico, essendone tuttavia tra i minori responsabili. La verità per noi consumatori è che i prezzi che paghiamo per molti dei prodotti che amiamo non rispecchia i costi reali di una filiera rispettosa dei diritti dell’uomo e dell’ambiente. Se abbiamo davvero a cuore il futuro del nostro pianeta dovremmo iniziare a selezionare con più attenzione quello che compriamo. "
" Il consiglio sarebbe di comprare meno e comprare meglio in termini di qualità e sostenibilità ambientale e sociale. Comprare usato o prodotti in upcycling garantisce un minor utilizzo delle materie prime, un minor consumo di acqua, di energia e di emissioni CO2 nell’atmosfera. Non è più una scelta ma un dovere di ognuno."
"Attualmente riusciamo a rigenerare circa 5.000 computer all’anno e, in questo modo, realizziamo un beneficio tangibile e significativo per l’ambiente perché permettiamo di ridurre drasticamente la quantità di risorse necessarie a monte per la produzione di computer nuovi e di rifiuti elettronici a valle."
" L'app permette di scansionare il codice a barre di un prodotto, lo riconosce grazie al suo database, indicando i materiali dell’imballaggio e i giusti bidoni per il conferimento. Le indicazioni corrispondono alle regole per la differenziata del comune in cui l’utente si trova."
" Per debellare questa cultura dell’usa e getta anche nel campo della fast fashion, basterebbe usare un punto di vista più minimalista, ed evitare di comprare cose per noia, con la consapevolezza che la felicità non si trova negli oggetti ma nelle esperienze che vivi con le persone che ami."
" Il consiglio è sempre lo stesso che ci hanno donato i grandi pensatori di tutti i tempi: l’unico modo che abbiamo per cambiare il mondo è cambiare noi stessi. Partiamo da noi, da ogni piccolo gesto che sia espressione d’Amore, una carezza, un riciclo, la parsimonia, l’attenzione. "
Too Good to Go è l’applicazione n.1 contro lo spreco alimentare attraverso la quale ristoranti, pasticcerie, forni, supermercati e hotel riescono a vendere a prezzi ribassati le Magic Box, ovvero scatole a sorpresa contenenti prodotti e piatti freschi rimasti invenduti a fine giornata.
L'interessante sito di Mara Benati che cerca risposte e soluzioni pratiche ai problemi ambientali causati dalla cultura usa e getta. Particolarmente interessante la sezione dedicata all'autoproduzione ed al riciclo creativo, ricca di consigli pratici.
Un sito creato da Raffaella Caso per le famiglie che vogliono cambiare stile di vita, ricco di consigli su ricette per adulti, pappe per bambini, utensili da cucina, libri e molto altro ancora. Assolutamente consigliato per tutte quelle persone interessate ad avere un impatto minore che abbisognano di suggerimenti pratici.
Una serie di trailer e titoli di documentari e reportage televisivi che parlano in maniera dettagliata della cultura usa e getta e dei suoi effetti su esseri umani ed ambiente.
Pubblicata il 5 marzo 2023
Da dove nasce l’idea per il suo libro Lacrime di gentilezza?
Questo libro vede la luce nei giorni di una pandemia. Proprio nei momenti in cui ogni convinzione e ogni certezza intorno alle persone sembrava crollare, ha preso forma questa storia. In quei giorni di tempo sospeso, in cui il dolore e la paura per il presente abbracciavano in me la speranza per il futuro, mi sono interrogato sulle enormi potenzialità presenti in ogni lembo del nostro Paese. Il titolo nasce da una metafora tipica del teatro napoletano, poi usata anche dalla poetessa Alda Merini, secondo la quale gli esseri umani sono come le lacrime che cadendo non si sommano ma si moltiplicano; così le persone, quando si rendono conto della loro condizione comune di esseri umani, possono unirsi e insieme cambiare le cose, cambiare il mondo. Inoltre, le lacrime hanno il doppio significato di lacrime di dolore (davanti alle difficoltà e ai dolori che vediamo davanti ai nostri occhi) e lacrime di gioia (quando vedremo un possibile cambiamento e un altro futuro).
Quali argomenti presenta e come mai li ritiene importanti?
Negli ultimi decenni, in Italia, e non solo, si sono approfonditi fenomeni come il consumo di suolo, l'abusivismo edilizio, i tagli dei finanziamenti alla cultura e all’istruzione, l’inquinamento dell’aria e dei mari, il dissesto idrogeologico. L'economia, la politica e la tecnologia dovrebbero essere posti al servizio della vita e della natura. Penso sia ineludibile la necessità di elaborare approcci coerenti con una nuova visione umanistica del mondo, fondata su relazioni coevolutive uomo/uomo e uomo/natura. Credo occorra cominciare a ragionare di un altro sviluppo umano, da attuare attraverso una economia che cammini di pari passo con l’ecologia, al fine di conservare la qualità ambientale ed eco sistemica nel produrre, generare e ridistribuire la ricchezza. Nella ricerca di un nuovo paradigma economico ed ambientale, tuttavia, dobbiamo constatare i limiti della tradizionale organizzazione economica mostrati dalla recente crisi. Risparmio, riuso, recupero, riciclo, rigenerazione, rinnovabili: queste possono essere le fondamenta del futuro, per l’Italia e per il nostro pianeta. In tempi difficili e opachi come quelli che stiamo vivendo, il senso della bellezza sembra suggerire che un altro mondo è possibile. Credo che occorra ragionare di un altro sviluppo umano, da attuare attraverso una economia che cammini di pari passo con l’ecologia, al fine di conservare la qualità ambientale ed eco sistemica nel produrre, generare e ridistribuire la ricchezza.
In che modo la cattiva gestione dei rifiuti all’interno di un comune (sia da parte dei cittadini che degli organi preposti) genera problemi di natura ambientale e di conseguente degrado umano? In che modo ha deciso di affrontare questo argomento nel suo libro?
Il modello di gestione dei rifiuti applicato in quasi tutto il territorio nazionale è caratterizzato da gravi inefficienze e, soprattutto, dall’incapacità di costruire strategie basate sulla corretta gerarchia di gestione dei rifiuti: riduzione a monte, riuso, riciclo, smaltimento, riduzione come il compostaggio domestico e di comunità. E le conseguenze sanitarie e ambientali della sua gestione possono essere molto gravi. Sono ancora discariche e inceneritori i cardini di questa gestione rifiuti.
Eppure, la strada da seguire sarebbe quella di dismettere gli impianti di incenerimento, magari cominciando ad abbandonare i processi di combustione dei rifiuti; si dovrebbero realizzare impianti di compostaggio aerobico, eventualmente accompagnato da digestione anaerobica di qualità. Ogni territorio dovrebbe ragionare su come chiudere il ciclo dei rifiuti, in casi di vera necessità costruendo biodigestori che trattino gli scarti provenienti dalle nostre case e quelli agricoli, trasformandoli in compost, biogas e biometano. E incentivare la realizzazione di impianti finalizzati al recupero di materia: impianti a freddo per il trattamento di materiali accoppiati (come il tetra pak) e multimateriali non recuperabili con il porta a porta. Però, si deve partire da una seria raccolta differenziata porta a porta con un sistema di tariffazione puntuale.
Nel mio libro affronto il problema a partire dalla necessità di una transizione verso un’economia circolare che riduca il prelievo di risorse naturali e promuova la durata, gli usi condivisi, il riutilizzo dei prodotti, la prevenzione e il riciclo dei rifiuti. In tal senso, va ripensato completamente il ciclo dei rifiuti. Si dovrebbe partire dalla definizione e dal costante aggiornamento di un quadro dei dati di zona sulla produzione, raccolta e gestione di tutti i tipi di scarti e rifiuti generati a livello locale; dunque, andrebbe definito un piano per la gestione dei rifiuti urbani in base agli andamenti previsti per il futuro e i costi per la loro gestione; quindi, pubblicare periodicamente i dati su tale piano e i suoi risultati. Poi, bisognerebbe impegnarsi a raccogliere separatamente i materiali di risulta, gli scarti e rifiuti da costruzione e demolizione, avviarli localmente ad efficaci forme di riuso e di riciclo, orientare la progettazione di componenti e sistemi edilizi per favorire la riutilizzabilità e la riciclabilità future, e promuovere il riutilizzo in loco del maggior numero possibile di materiali e componenti, in particolare degli asfalti fresati. Infine, si dovrebbe puntare sull’azzeramento dello smaltimento in discarica dei rifiuti organici, estendendo e migliorando la loro raccolta differenziata. Senza dimenticare di sensibilizzare, educare e coinvolgere le persone, vere protagoniste della possibilità della soluzione del problema. Sarebbe indispensabile rafforzare a livello locale le misure per prevenire e ridurre la produzione di rifiuti incentivando le reti per la raccolta e la donazione di prodotti alimentari ancora utilizzabili, la vendita dei prodotti locali a filiera corta, le reti di riparazione e vendita dei prodotti usati, le piattaforme per promuovere la simbiosi industriale e il riutilizzo dei sottoprodotti, le iniziative per contrastare l’obsolescenza programmata dei prodotti. Inoltre, bisognerebbe aumentare e rendere continuativa la domanda di materiali riciclati, in un’ottica di uso circolare delle risorse, rimuovendo le barriere tecniche e culturali, completando e semplificando la normativa sulla cessazione della qualifica di rifiuto, applicando gli acquisti pubblici verdi. Senza considerare il paradosso per cui in Italia meno funziona la raccolta dei rifiuti e più si paga!
Crede che in Italia si sia sviluppata una maggiore consapevolezza riguardo alle tematiche ambientali? Cosa si sentirebbe di consigliare in tal senso?
È tempo di agire. È tempo di compiere scelte. È tempo di coraggio. È tempo di responsabilità. Non grandi opere, ma piccola manutenzione ordinaria. Non grandi eventi, ma occasioni culturali diffuse. Non grandi proclami, ma piccoli esempi quotidiani. Non nuovo cemento e asfalto, ma cura del paesaggio. Non più divisioni, ma senso di comunità. Non muri e barriere, ma ponti e percorsi condivisi. Sono convinto che la bellezza rappresenti un investimento sul futuro, quello di un cambiamento all’insegna del benessere collettivo e degli individui, della trasformazione che renda più vivibili e belle le grandi città così come i piccoli borghi, della valorizzazione della creatività, del miglioramento della qualità della vita. La bellezza può essere la finestra da cui guardare in modo nuovo a politiche che interessino il territorio, a partire da rigenerazione urbana e mobilità ecosostenibile, progettazione culturale e tutela del patrimonio storico e artistico dell’Italia, costituzione di distretti di economia civile ed economia della bellezza, salvaguardia dell’ambiente, educazione alla bellezza e green economy, chiudendo la stagione dei condoni edilizi, del consumo del suolo, dell’abbandono e della privatizzazione del patrimonio storico e artistico del nostro paese. Quindi, sono convinto che gentilezza e bellezza sono due valori che, se liberati dalla retorica che spesso li avvolge, possono rigenerare il mondo, a partire dall’Italia. Bellezza e gentilezza rappresentano le fondamenta per un possibile investimento sul futuro, quello di un cambiamento all’insegna del benessere collettivo, della trasformazione che renda più vivibili le città e i piccoli borghi, della valorizzazione della creatività, progettazione culturale e tutela dell’ambiente.
Lacrime di gentilezza è un libro che parla di ambiente, di bellezza e molto altro ancora. Per restare aggiornati su presentazioni ed eventi, l'autore ha creato una pagina Facebook su misura.
Pubblicata il 12 dicembre 2021
Di cosa si occupa Fairtrade?
Fairtrade è il marchio di certificazione del commercio equosolidale, e contraddistingue centinaia di prodotti come caffè, cacao, banane, ananas, zucchero, biscotti e molto altro, che si possono acquistare in negozi di vicinato, bar e supermercati di tutta Italia. Ma Fairtrade è anche un’organizzazione globale che raggruppa 1,9 milioni di agricoltori e lavoratori di Asia, Africa e America Latina, supportati da volontari e attivisti in tutto il mondo che credono in un’economia più rispettosa dei diritti dell’uomo e dell’ambiente, e partecipano a iniziative che promuovono il consumo consapevole, la lotta al cambiamento climatico, un reddito più dignitoso per i lavoratori e i diritti delle donne.
Quali sono le caratteristiche più interessanti delle iniziative da voi proposte?
Penso che l’attività di Fairtrade sia importante perché parla alle persone dell’importanza delle scelte nella loro quotidianità. Come diceva Martin Luther King, ogni giorno, prima di aver finito la colazione, abbiamo già beneficiato del lavoro di persone da ogni parte del mondo. Ovviamente il riferimento è alla coltivazione di caffè e banane, oppure di tè o cacao. Se dietro alla produzione di tanti beni che utilizziamo tutti i giorni si nascondono quasi sempre storie di sfruttamento, ognuno di noi, con la propria spesa, può scrivere una storia diversa. E sostenere filiere più “corrette” in cui i lavoratori vengono retribuiti secondo il 'prezzo minimo Fairtrade', ovvero un prezzo calcolato per coprire i costi di una produzione sostenibile, e un margine di guadagno aggiuntivo. È il cosiddetto “Premio Fairtrade”, che serve a sostenere le necessità delle comunità: ad esempio l’acquisto di prodotti per migliorare la produttività dei raccolti, o di macchinari per l’agricoltura, oppure progetti sociali come la costruzione di aule scolastiche, ambulatori sanitari e corsi di formazione.
Quali sono, invece, le conseguenze di un commercio non regolato sull’ambiente e sulle comunità locali?
I rischi di un commercio che non rispetta le persone e l’ambiente sono molteplici, e dipendono da filiera a filiera, e da paese a paese. Ad esempio il 60% del cacao consumato in Europa proviene dalla Costa d’Avorio, e la sua coltivazione dipende da decine di migliaia di piccoli agricoltori che in molti casi vivono sotto la soglia minima di povertà. Questo alimenta una spirale di povertà che favorisce pratiche illegali come il disboscamento di aree di foresta protetta per le coltivazioni, il ricorso al lavoro dei minori e in alcuni casi anche la tratta di esseri umani da paesi confinanti più poveri.
Dal punto di vista dell’ambiente, i produttori agricoli del Sud globale sono tra coloro che subiscono in maniera più grave gli effetti del cambiamento climatico, essendone tuttavia tra i minori responsabili, con pesanti ripercussioni sul loro reddito, e quindi, sulla sopravvivenza delle famiglie agricole. La verità per noi consumatori è che i prezzi che paghiamo per molti dei prodotti che amiamo non rispecchia i costi reali di una filiera rispettosa dei diritti dell’uomo e dell’ambiente. Se abbiamo davvero a cuore il futuro del nostro pianeta dovremmo iniziare a selezionare con più attenzione quello che compriamo.
Crede che i consumatori italiani siano particolarmente sensibili alla provenienza dei prodotti che acquistano e attenti nella lettura delle etichette? Quale consiglio si sentirebbe di dare in tal senso?
Numerose ricerche di mercato mostrano come, negli ultimi anni, sia aumentata la sensibilità delle persone all’acquisto di prodotti provenienti da filiere etiche. COVID-19 ha un po’ accelerato il processo. È un dato che ci viene confermato anche dalla crescita delle vendite dei prodotti Fairtrade nel nostro paese. Sicuramente è aumentato l’interesse verso questo tipo di proposte, tuttavia sull’onda lunga della sostenibilità sono aumentate anche le iniziative di greenwashing. Il mio consiglio pertanto è quello di prestare sempre attenzione ai marchi che si acquistano e verificare la presenza di certificazioni, come Fairtrade, che nascono proprio per garantire ai consumatori un certo tipo di standard e controlli.
Fairtrade ha realizzato una docuserie - riassunta in un trailer molto interessante - che racconta la vita di tre agricoltori in tre continenti diversi. Si tratta di reportage molto attuali e toccanti, che mostrano le sfide quotidiane affrontate dai contadini Fairtrade nelle varie aree del mondo.
Pubblicata il 15 ottobre 2021
Da dove nasce l'idea per Belt Bag? Di cosa si tratta?
Occhio del Riciclone - fondatore del marchio di borse e accessori Belt Bag - è una cooperativa sociale che propone un modello di economia circolare che pone al centro la valorizzazione sia delle persone che delle cose. Fin dalla sua nascita, a Roma nel 2006, ODR ha fatto propri i valori della sostenibilità socio-ambientale. In quanto cooperativa sociale, puntiamo all’integrazione lavorativa di soggetti appartenenti a categorie svantaggiate attraverso percorsi mirati di formazione e professionalizzazione in grado di dare valore alle competenze e alle abilità di ogni singolo individuo. Per quanto concerne la sostenibilità ambientale il nostro modello di produzione, è incentrato sulla valorizzazione dei materiali aziendali di fine vita pre e post consumo. L’attività della cooperativa consiste nel recupero e riutilizzo di materiali di scarto aziendali che vengono valorizzati attraverso un processo di upcycling di tipo artigianale che porta alla creazione di nuovi accessori di moda. Il nostro modello di upcycling fa della sostenibilità ambientale il suo leitmotiv, infatti oltre a far fronte alla problematica della continua produzione di scarti tessili, punta sulla durabilità dei prodotti; non a caso il materiale principale è la cintura di sicurezza che presenta caratteristiche di durevolezza molto elevate (il carico massimo è di 2 tonnellate). Inoltre, pone al centro gli aspetti sociali e relazionali attraverso collaborazioni e sinergie con centri di aiuto e di assistenza per categorie svantaggiate.
Un altro aspetto di innovazione è connesso all’innovazione culturale. Il nostro lavoro punta infatti a sensibilizzare aziende e privati circa l’importanza di cambiare i nostri stili di consumo. Attraverso lo scambio di conoscenze e mirati laboratori sul riuso vogliamo infatti contribuire alla diffusione di prodotti artigianali in upcycling generando nel consumatore finale un cambio di paradigma dove, riuso, riciclo e riduco, oltre all’attenzione ai temi sociali, sono le parole chiave della nostra mission di imprenditori sostenibili. L’upcycling artigianale rappresenta il tentativo di trovare nuove modalità di produzione che puntano al riutilizzo di materie esistenti non più utilizzate. Il modello produttivo da noi adottato, diversamente dal concetto standard di produzione, parte dal materiale recuperato ispirando i designer nella fase progettuale delle collezioni.
Cosa vi spinge a credere nel vostro progetto?
L’amore e la salvaguardia del pianeta e dell’umanità. La proposta di innovazione portata avanti da ODR si incentra due aspetti: l’innovazione di design & manufacturing e l’innovazione di tipo culturale. L’adozione di un modello produttivo di upcycling artigianale che, diversamente dal concetto standard di produzione, parte dal materiale recuperato ispirando i designer nella fase progettuale delle collezioni. Il modello di upcycling rappresenta il tentativo di trovare nuove modalità di produzione che puntano al riutilizzo di materie esistenti. Nel nostro modello produttivo sono infatti le caratteristiche dei materiali dismessi, come ad esempio i tessuti fine rotoli di produzioni o sfridi tessili a suggerire al designer l’articolo che diventeranno.
Quali sono le conseguenze - in termini di impatto ambientale - dell'uso di fibre sintetiche nuove di zecca? Saprebbe quantificare le colpe dell’industria della moda e della nostra società consumistica in tal senso?
Penso che le conosciamo tutti ormai, presenze di microplastiche nei fiumi, laghi e mari che finiscono sulle nostre tavole. Inquinamento dell’aria dovuto a processi di incenerimento delle fibre in fase di smaltimento con conseguente aumento di diossina e CO2. Conseguente diminuzione dell’ozono nella stratosfera con aumento delle temperature che causa l’estinzione di esseri viventi animali e vegetali oltre che una migrazione umana di massa dovuta alla conseguente desertificazione. La produzione massiccia e i prezzi bassi della moda “usa e getta” spingono le persone a consumare sempre più abbigliamento e accessori. Il consumatore medio acquista il 60% di capi in più rispetto al 2000 ma li usa per la metà del tempo. Se il consumo continuerà al ritmo attuale, avremo bisogno del triplo delle risorse naturali entro il 2050 rispetto a quanto ne abbiamo usato nel 2000. Secondo lo studio di J. Pennington esperto di economia circolare del World Economic Forum, gli abiti che ogni anno finiscono in discarica rappresentano il 5,2 % dei materiali presenti.
Come sta reagendo il mercato italiano a questo tipo di prodotti alternativi? Cosa si sentirebbe di consigliare ai consumatori?
Con un andamento di sviluppo sicuramente positivo ma troppo lento, i consumatori sono poco consapevoli della responsabilità che hanno quando acquistano un prodotto. Purtroppo il mercato induce ancora oggi ad uno stile di vita consumistico e all’acquisto di prodotti cheap per una moda “usa e getta”. Stiamo viaggiando in ritardo rispetto ai cambiamenti climatici che stanno avvenendo. Ci sono dei cambiamenti irreversibili da cui non si può più tornare indietro e il documentario Breaking boundaries spiega bene quali sono. Il consiglio sarebbe: compra meno e compra meglio in termini di qualità e sostenibilità ambientale e sociale. Comprare usato o prodotti in upcycling garantisce un minor utilizzo delle materie prime, un minor consumo di acqua, di energia e di emissioni CO2 nell’atmosfera. Non è più una scelta ma un dovere di ognuno.
Belt bag è un progetto portato avanti dall'organizzazione Occhio del riciclone, che sostiene diverse iniziative virtuose. Nello specifico, l'importanza de marchio deriva dal fatto che l'industria della moda gioca un ruolo determinante per le sorti del pianeta a causa del dilagare della cultura usa e getta.
Pubblicata il 2 ottobre 2021
Di cosa si occupa Reware – l’informatica sostenibile?
Reware ritira computer dismessi da grandi aziende. Si tratta di computer migliori e più potenti di quelli che di solito si trovano nei centri commerciali o che vengono venduti ai privati, e le aziende li cambiano spesso, ogni 3-5 anni, per proprie esigenze di produttività. Una volta ritirati, i computer vengono rigenerati, ossia testati, potenziati e reinstallati da zero, e poi messi in commercio. Attualmente riusciamo a rigenerare circa 5.000 computer all’anno e, in questo modo, realizziamo un beneficio tangibile e significativo per l’ambiente perché permettiamo di ridurre drasticamente la quantità di risorse necessarie a monte per la produzione di computer nuovi e di rifiuti elettronici a valle.
Cosa vi spinge a credere in questo progetto?
È un progetto, e un lavoro, con una forte componente etica, ambientalista e sociale, e questo aspetto è trainante per tutti noi. Negli anni siamo riusciti a raggiungere un equilibrio economico tale da permetterci di pagare regolarmente i nostri stipendi, pur facendo un lavoro divertente e gratificante.
Qual è l’impatto ambientale dell’uso e dell’abbandono continuo di apparati elettronici? Quali le conseguenze sul clima e sull’inquinamento di suolo ed acqua?
Per spiegarlo bene ci vorrebbero libri interi. Ma basta pensare che la produzione di un PC richiede quasi due tonnellate di risorse naturali, e che meno del 50% di un computer che finisce tra i rifiuti può essere veramente riciclato, per capire quanto i diversi milioni di apparecchi usati non per tutta la loro vita utile, e poi abbandonati, possano impattare sull’ambiente. Per accaparrarsi materie prime per l’elettronica ci sono guerre e schiavitù, e la questione dell’esportazione illegale dei RAEE è tutto fuorché risolta.
I computer sono tra gli oggetti in commercio che più richiedono energia per la loro produzione, e quando diventano rifiuti disperdono nell’ambiente decine di sostanze chimiche diverse che, con il tempo, finiscono anche nel ciclo alimentare creando disastri ambientali e sanitari, come succede in diverse zone del mondo tra Africa, India, Cina e Sud America.
Come sta reagendo alle vostre iniziative il mercato locale? Quale consiglio si sentirebbe di dare ai consumatori?
Il mercato locale (ma anche nazionale) ha reagito in modo estremamente positivo. Abbiamo visto negli anni un importante cambiamento attitudinale da parte di tantissime persone nei confronti di queste tematiche. Quando abbiamo iniziato l’attività sembravamo dei visionari agli occhi di molti, adesso il riutilizzo è stato sdoganato e viene riconosciuto dai più come pratica ambientalmente virtuosa. Ne è prova il fatto che siamo passati, in meno di 10 anni, da qualche centinaia di PC rigenerati a diverse migliaia.
Il consiglio è quello di informarsi, studiare, approfondire. La misurazione dell’impatto ambientale della produzione di oggetti è una scienza nuova, ed escono nuove proposte e soluzioni di continuo. Una delle prossime frontiere sarà sicuramente l’eco design, non solo di prodotti elettronici, argomento più ostico e complesso del riuso, e per essere recettiva e comprenderne le diverse sfaccettature, la popolazione dovrà essere formata in modo corretto.
Considerate le problematiche ambientali che caratterizzano la nostra epoca e che sono ormai sotto gli occhi di tutti, è giusto innanzitutto evitare gli acquisti inutili, concetto che riguarda anche gli apparati elettronici. Per situazioni in cui la sostituzione è assolutamente necessaria, però, c'è Reware.
Pubblicata il 29 settembre 2021
In cosa consiste l’applicazione Junker?
Junker è l’app per la raccolta differenziata più diffusa in Italia, presente in oltre mille comuni e con più di 1.7 milioni di download. L'app permette di scansionare il codice a barre di un prodotto, lo riconosce grazie al suo database di 1.7 milioni di prodotti registrati, ne scompone l’imballaggio nelle sue varie parti, indicando i materiali dell’imballaggio e i giusti bidoni per il conferimento. Le informazioni sono sempre aggiornate, seguono le indicazioni dei consorzi di filiera e sono geolocalizzate – ciò significa che le indicazioni di conferimento corrispondono alle regole per la differenziata del comune in cui l’utente si trova. Zero dubbi o errori, una differenziata perfetta!
Qual è la ragione principale per cui crede in questo progetto?
Junker è lo strumento ideale per aiutare i cittadini a fare una raccolta differenziata senza errori e a rendere il proprio stile di vita maggiormente sostenibile. Infatti, oltre alle indicazioni sulla raccolta, Junker fornisce informazioni sulla sostenibilità a tutto tondo, con messaggi in app, quiz, contenuti sui social e articoli nel blog. In tal modo, cerchiamo di rendere gli utenti consapevoli dell’impatto delle proprie azioni, in particolare in relazione ai rifiuti, incoraggiandoli a preferire prodotti con imballaggi ridotti o più facilmente riciclabili, a ridurre la produzione di rifiuti indifferenziati, a scegliere prodotti durevoli piuttosto che monouso.
Quali sono i dati relativi alla produzione di rifiuti pro capite in Italia? Qual è, invece, l’impatto di quelli non riciclati sull’ambiente?
Secondo Eurostat, nel 2019 in Italia la produzione di rifiuti pro-capite è stata di 499kg per abitante (praticamente identica alla media europea di 502kg). Per quanto riguarda il riciclo (per cui si intende riciclo di materia, compostaggio e digestione anaerobica), l’Italia ha raggiunto una percentuale del 46,9%, poco sotto la media europea del 48%, secondo il Rapporto sull’economia circolare in Italia 2021, a cura del Circular Economy Network.
Più alte le percentuali per quanto riguarda la raccolta differenziata: nel 2018, 58,1% dei rifiuti urbani sono stati differenziati e l’80,8% dei rifiuti da imballaggio è stato recuperato grazie alla raccolta differenziata secondo il Green Economy Report 2019, a cura del CONAI - Consorzio Nazionale Imballaggi.
Quali consigli si sente di dare ai consumatori? Crede esistano altre soluzioni individuali e di mercato che non sono state ancora valutate per sensibilizzare ulteriormente gli italiani e spingere i produttori a ridurre o modificare il packaging?
Il consiglio è quello di fare scelte consapevoli nel momento in cui si fanno acquisti. Ad esempio, se nel momento in cui conferisco un imballaggio nella raccolta, mi accorgo, grazie all’app, che l’imballaggio è davvero complesso oppure non è riciclabile e va quindi nell’indifferenziato, la volta successiva al supermercato farò più attenzione e andrò a scegliere un prodotto con un imballaggio meno impattante. Sono scelte all’apparenza poco importanti, ma che moltiplicate possono portare ad un grande cambiamento in ottica circolare, anche da parte delle stesse aziende produttrici.
In un periodo storico come questo è di vitale importanza sapere dove gettare i propri rifiuti per evitare errori apparentemente piccoli che possono, però, avere conseguenze disastrose sull'ambiente. Con Junker la raccolta differenziata diventa un gioco da ragazzi.
Pubblicata il 27 maggio 2021
Come nasce l'idea per il blog Memento Mori Movement – minimalismo a colori ed in cosa consiste?
Il blog nasce per ispirare tutte quelle persone che vogliono riprendere in mano la propria vita e riappropriarsi del loro tempo. Oggi infatti viviamo in una società consumista e basata sulle apparenze, nella quale corriamo freneticamente tutti i giorni, correndo da un impegno all’altro, ma senza mai avere tempo per noi stessi. Le pubblicità ci bombardano ovunque per convincerci a comprare roba con l’illusione che così saremo più felici e così acquistiamo una marea di oggetti per portare a casa un pezzetto di felicità, ma in realtà è solo un’illusione.
Il nome “Memento mori” deriva dal latino e vuol dire “ricordati che devi morire”. OK, di primo acchito sembra una frase negativa e demotivante, ma in realtà se ci pensi bene è proprio il contrario. Brevemente, senza voler fare lezioni di filosofia: ricordarsi che la vita ha una data di scadenza è uno stimolo a vivere appieno e a non sprecare tempo. La soluzione per vivere appieno e sfruttare al massimo il nostro tempo è il minimalismo.
Quali sono i pilastri del minimalismo?
Lo scopo del minimalismo è eliminare tutta la roba inutile dalla tua vita, per avere più tempo, soldi ed energie per le cose che sono davvero importanti per te, qualunque esse siano. Di solito chi inizia un percorso minimalista inizia eliminando tutta la roba inutile che vaga in giro per casa, ma liberare gli spazi è solo il primo step. La verità è che siamo sopraffatti da tonnellate di roba, che in gran parte non usiamo neanche. Ecco perché lo scopo del minimalismo è togliere l’attenzione dagli oggetti e spostarla sulle persone e sulle esperienze, perché non sono gli oggetti a darti la felicità, ma le avventure che vivi con le persone che ami e che diventano fantastici ricordi che ti restano per tutta la vita. E una volta che hai eliminato tutte le cose inutili, hai più tempo, soldi ed energie per vivere la vita spettacolare che desideri. Ma il minimalismo non è una gara a chi ha meno oggetti: per essere minimalista non devi vivere come un monaco francescano con due magliette nere e un paio di jeans. C’è quest’idea che i minimalisti siano persone spente, che si vestono solo in bianco e nero e vivono in case completamente bianche, vuote e fredde, come il frigorifero di un single. Ma in realtà non è assolutamente così. Con il nostro blog vogliamo dimostrare che il minimalismo può essere anche allegro, colorato e divertente: ecco perché noi parliamo di “minimalismo a colori”.
Qual è l'impatto – ambientale, sulla salute umana e sulle economie minori – della nostra cultura usa e getta?
Quando pensi agli oggetti usa e getta, pensi soprattutto alle cose di plastica che usi al volo e poi getti via, tipo una cannuccia o i cucchiaini di plastica del caffè, ma in realtà nella società moderna l’idea di usa e getta non si limita solo alla plastica, ma ad esempio anche alla fast fashion. Questo perché compriamo vestiti che vanno di moda solo una stagione, sono fatti in materiale scadente e si rovinano dopo pochi lavaggi. E visto che costano un niente, ne compriamo ancora di più, anche se non ci servono o non ci convincono davvero…. e nel giro di qualche mese finiscono abbandonati sul fondo dell’armadio.
Secondo la ricerca The environmental price of fast fashion pubblicata nel 2020 sulla rivista Nature Reviews Earth & Environment, l’industria della moda è colpevole dell’accumulo di oltre un terzo delle microplastiche presenti negli oceani, contribuisce per il 20% alla contaminazione industriale dell’acqua in tutto il mondo e produce più di 92.000 tonnellate annue di rifiuti tessili (tra cui rientrano anche tutti i capi invenduti!). Se più persone vivessero con uno stile di vita un po’ più minimalista, comprerebbero meno roba inutile e quindi automaticamente si ridurrebbero gli sprechi ed i rifiuti. E questo avrebbe sicuramente un impatto positivo per il pianeta.
Certo, anche un minimalista compra vestiti e oggetti, ma semplicemente punta di più sulla qualità che sulla quantità e segue il proprio stile invece di una moda passeggera. E se i tuoi vestiti durano di più e rappresentano bene il tuo stile, compri automaticamente di meno. Molti minimalisti poi sono anche molto attenti a comprare oggetti ecosostenibili o aderiscono all’iniziativa zero waste, quindi comprano prodotti senza imballaggio (ad esempio il sapone solido invece di quello liquido).
Cosa si potrebbe fare per migliorare in questo senso?
E’ importante sensibilizzare le persone sul fatto che l’usa e getta non riguarda solo i piccoli oggetti in plastica monouso ai quali si pensa di solito. In particolare, per debellare questa cultura dell’usa e getta anche nel campo della fast fashion, basterebbe usare un punto di vista più minimalista, ed evitare di comprare cose per noia, con la consapevolezza che la felicità non si trova negli oggetti ma nelle esperienze che vivi con le persone che ami. Con questa consapevolezza non compri più roba cercando di comprare un pezzetto di felicità, perchè sai che la felicità non la trovi in un negozio, ma semplicemente dentro di te.
Sul loro blog, Valentina e Stefano offrono preziosi consigli pratici su come migliorare la propria vita attraverso l'approccio minimalista. Hanno inoltre creato una guida gratuita da utilizzare per muovere i primi passi in questa realtà.
Pubblicata il 19 dicembre 2020
Da dove nascono le idee per i tuoi viaggi ed i tuoi libri? Di cosa parlano questi ultimi, nello specifico?
Ciao Debora! Innanzitutto grazie per avermi dato la possibilità di condividere ciò che ho nel cuore in questo tuo spazio meraviglioso. I miei viaggi e i miei libri sono nati da una profonda ricerca interiore, dal tentativo di dar risposta a cosa mi avrebbe fatto star bene, a come mi sarei potuto realizzare e cosa avrei potuto fare per condividere ciò che ti più prezioso si possa ottenere: felicità e amore. I libri in particolare nascono proprio per questo, per condividere i segreti che il mondo mi ha insegnato mentre lo esploravo nel profondo. Finora ho scritto quattro libri e gli ultimi due - quelli che si trovano in commercio - raccontano le mie lunghe e avventurose esperienze in Amazzonia e in Asia. Non sono però solamente diari di viaggio, anzi, i viaggi diventano la metafora per andare a fondo nella comprensione dei grandi temi della vita. È anche per questo che si intitolano “The Journey of Joy” - “Il Viaggio della Felicità”.
Nel corso dei tuoi viaggi hai avuto la possibilità di visitare diversi paesi del mondo: hai notato conseguenze visibili della nostra cultura dell'usa e getta sull'ambiente ?
Eccome! L’usa e getta di cui parli è l’estensione finale del “consumismo”. Oramai siamo abituati a consumare e gettare ogni cosa, non solo gli spazzolini o i packaging inventati a suon di campagne marketing milionarie, ma anche gli esseri viventi, siano essi piante, animali “da compagnia” e perfino persone. Non c’è più il coraggio e la forza di volontà di aggiustare le cose e le relazioni e, alla prima avvisaglia dell’avverarsi dell’obsolescenza programmata, si gettano via. Questo si nota anche nelle zone più impervie del mondo, sai, e in modo drammatico. I fiumi selvaggi dell’Amazzonia - dove non son secchi a causa del deforestamento - sono pieni di rifiuti. Nelle amazzoni, oltre alle chiatte spargi mercurio, navigano le infradito di gomma, le bottiglie di plastica, le taniche della benzina. E l’Himalaya? Anche lì, dove i ghiacciai perenni non son sciolti a causa dell’innalzamento delle temperature globali, non è raro incontrare qualche scarto della nostra civiltà. Credo allora che la salvezza non possa che venire da una ricostruzione e rieducazione personale. Quando re-impareremo ad amare le persone, inclusi noi stessi, sapremo anche amare l’ambiente del quale siamo parte.
Hai mai incontrato persone il cui obiettivo fosse proprio quello di contribuire ad arginare questo problema o ti sentiresti tu stesso di dare un consiglio a chi avesse intenzione di farlo?
Certamente, conosco molte persone e istituzioni che si prodigano per la salvaguardia dell’ambiente, in particolare in Amazzonia, spesso scontrandosi con logiche politico-economiche che mirano al ben-stare più che al ben-essere. Il consiglio è sempre lo stesso che ci hanno donato i grandi pensatori di tutti i tempi: l’unico modo che abbiamo per cambiare il mondo è cambiare noi stessi. Partiamo da noi, da ogni piccolo gesto che sia espressione d’Amore, una carezza, un riciclo, la parsimonia, l’attenzione. Ecco, l’Amore è il grande segreto, lo scrivo anche nei miei libri; se vivremo ogni istante della nostra vita con Amore, allora essa non potrà che trasformarsi in un miracolo. Amare significa capirsi e capire, essere sensibili, aiutare, condividere. L’Amore non è utopia, è semplicemente la strada delle persone coraggiose! Cor-aggio deriva infatti dal latino “cor-agere” che significa: “agire con il cuore”. Perché, in fondo, parafrasando una frase del mio ultimo libro: “L’Amore non è come la matematica: se lo condividi si moltiplica.”
I libri di Alberto Cancian che appartengono alla serie The Journey of Joy sono due: The Journey of Joy - Amazzonia e The Journey of Joy - Asia. Non si tratta di semplici guide turistiche, bensì di veri e propri libri di viaggio, sia esso fisico o spirituale.
Pubblicata il 28 ottobre 2020
Di cosa si occupa esattamente la vostra azienda e da dove nasce l'idea?
Too Good To Go è l’applicazione n.1 contro lo spreco alimentare: ristoranti, pasticcerie, forni, supermercati e hotel riescono a vendere a prezzi ribassati le Magic Box, ovvero scatole a sorpresa contenenti prodotti e piatti freschi rimasti invenduti a fine giornata, che non possono essere rimessi in vendita il giorno seguente, ma “troppo buoni per essere buttati”.
Inoltre, permette ai consumatori di acquistare cibi gustosi e ancora freschi a un terzo del prezzo, geolocalizzandosi e cercando gli store aderenti più vicini per poter ritirare la propria Magic Box durante la fascia oraria selezionata. In questo modo, i rivenditori riducono il loro invenduto mentre i clienti hanno a disposizione una varietà di nuovi prodotti, e negozi, da scoprire: un approccio win-win-win, in cui il terzo vincitore è l’ambiente. Evitando di sprecare cibo, infatti, si evita anche l’impatto ambientale dello smaltimento, un ulteriore “costo” per il pianeta che si va a sommare con quello di aver prodotto alimenti che alla fine non vengono consumati.
Too Good To Go nasce proprio per rispondere all'esigenza di trovare una soluzione semplice ma allo stesso tempo di impatto, al fine di contrastare lo spreco alimentare. Dall'idea di alcuni studenti, l'app si è strutturata e affermata nel 2015 in Danimarca per poi diffondersi in tutta Europa (14 Paesi aderenti a oggi) e da qualche mese anche negli Stati Uniti.
Per quale ragione crede sia utile limitare gli sprechi di cibo, oltre a quella meramente economica?
Oggi, in piena crisi globale, un terzo di tutto il cibo viene sprecato: questo ha enormi implicazioni non solo in termini economici - si stima, infatti, che il valore dello spreco alimentare sia pari a 1.2 trilioni -, ma anche ambientali e sociali. Il modo in cui smaltiamo il cibo innesca una catena di conseguenze problematiche per il delicato ecosistema del nostro pianeta. In particolare, lo spreco alimentare è responsabile dell’8% delle emissioni di gas serra, che sono determinanti per l’inquinamento e il surriscaldamento globale. Oltre alle problematiche di carattere ambientale, è necessario pensare all’impatto che queste avranno sulla sicurezza alimentare delle generazioni future. E’ emerso, infatti, che se salvassimo anche solo un quarto del cibo sprecato, saremmo in grado di sfamare 870 milioni di persone malnutrite.
Saprebbe quantificare in chilogrammi il cibo che viene sprecato in Italia ogni giorno?
Da un’indagine dell’Osservatorio Waste Watcher, in Italia, lo spreco alimentare domestico è pari a 529,9 g ogni settimana per ciascun cittadino, che corrisponde a circa 100 g giorno pro capite. Non bisogna dimenticare poi lo spreco lungo la filiera agroalimentare; ad esempio si stima che lo spreco alimentare di un punto vendita si aggiri intorno alle 220mila tonnellate all’anno. In termini economici, in Italia lo spreco settimanale medio è di € 4,9 per nucleo familiare, ovvero circa 6,5 miliardi di euro considerando l’insieme delle famiglie italiane. Un dato in calo rispetto agli anni passati, ma comunque elevato se sommato al costo della filiera produzione/distribuzione – oltre € 3 miliardi e 293 milioni – arrivando così ad un costo totale annuale di poco meno di 10 miliardi di euro. Una cifra davvero importante, considerando anche l’impatto ambientale e sociale dello spreco.
Cosa si potrebbe fare, secondo lei, per migliorare questo settore del mercato e renderlo più sostenibile?
La sostenibilità sta diventando un argomento e un settore sempre più importante, sia per i cittadini che per le imprese. La mission di Too Good To Go consiste proprio nell’ispirare e cercare di coinvolgere tutti nella lotta contro lo spreco alimentare. Per mettere in pratica il nostro obiettivo, vogliamo tradurre le nostre parole in azioni concrete e contribuire su diversi livelli alla costruzione di un movimento anti-spreco globale. Oltre all’app, che lavora principalmente sul marketplace, e con l’obiettivo quindi di mettere in contatto gli esercenti commerciali con i consumatori, Too Good To Go si impegna nel creare e concretizzare azioni dedicate al Movement, il “movimento anti-spreco” che si focalizza su 4 pilastri: persone, aziende, scuole ed istituzioni, con l’obiettivo di sensibilizzare e creare una rete di persone e realtà più consapevoli e impegnate nell’avere un impatto a 360°C contro lo spreco alimentare.
L'app di Too Good to Go è scaricabile in maniera assolutamente gratuita e può essere utilizzata in qualsiasi regione d'Italia.
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